Università Cattolica del Sacro Cuore

Linee programmatiche

III Congresso Internazionale di “Studi ermeneutici su simbolo religioso, mito e ‘modernità dell’antico’ nella Letteratura italiana e nelle Arti dal Rinascimento ai giorni nostri” (Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 15-16 dicembre 2017)


«Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, / ché ’l velo è ora ben tanto
sottile, / certo che ’l trapassar dentro è leggiero»
(Dante, Purgatorio, VIII, 19-21)0


«Cercai d’investirmi dei pensieri del poeta greco, di rendermeli
propri» (Giacomo Leopardi, Discorso sopra la Batracomiomachia)

«non dobbiamo usurpare le immaginazioni altrui, quando o non le
facciamo nostre in qualche maniera, o non ce ne serviamo
parcamente […] come di fondamenti alle invenzioni nostre,
adoperando la religione degli antichi» (Giacomo Leopardi,
Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica)

Presentazione


Nuovi percorsi ermeneutici: la “modernità dell’antico” nella letteratura italiana e nelle arti, i suoi simboli, i suoi miti e i suoi temi
 

«Oscuro perché prestino attenzione / chiaro, chiaro come l'acqua perché nessuno capisca» (Antonio Machado). Ci sono opere che non si capiscono e che da anni, da decenni o da secoli attendono ancora di essere capite; ci sono opere delle quali si pensava che tutto già fosse stato detto, ma che in realtà aspettano ancora l’investigatore-ermeneuta in grado di decifrare il loro significato recondito, che dal loro autore è stato sapientemente dissimulato.

Il Primo Congresso Internazionale di Studi ermeneutici su simbolo, mito e “modernità dell’antico” nella letteratura italiana e nelle arti dal Rinascimento ai giorni nostri (che sarà il primo di una serie) vuole essere l’occasione e il luogo per stimolare ricerche ermeneutiche finalizzate ad approdare – mettendo in atto gli strumenti ermeneutico-investigativi adeguati per riuscirci – alla decifrazione del significato nascosto di opere refrattarie (da anni, decenni o secoli) a rivelarlo.

«Ut pictura poësis» (Orazio). Ci sono tuttavia immagini e opere che, benché apparentemente sguarnite di riferimenti espliciti all’antichità religiosa pagana (come, per fare un esempio eclatante, il leopardiano «mazzolin di rose e di viole»), sono però state concepite dai rispettivi autori nella prospettiva della “modernità dell’antico”: vale a dire dell’antichità che nelle opere letterarie e artistiche realizzate nel mondo moderno è stata – più o meno esplicitamente – riproposta con criterio non meramente storico-filologico-erudito, ma altresì con intento attualizzante, in definitiva cripto-pagano. Cosa, questa, che però la maggior parte dei lettori-interpreti o non ha adeguatamente messo in conto, o è rimasta persino molto lontano anche semplicemente dal supporlo.

È come se l’autore di quelle immagini e di quelle opere concepite nella prospettiva cripto-pagana della “modernità dell’antico” si fosse pensato come un uomo dell’antichità pagana redivivo nel mondo moderno: di conseguenza portante con sé un proprio bagaglio originale costituito non solamente da conoscenze culturali e letterarie, ma altresì religiose e cultual-religiose della propria epoca, in definitiva pagane; tali conoscenze sono state poi da lui fatte confluire con modalità dissimulate, e financo depistanti,  nella propria opera: un’opera realizzata in epoca moderna e tuttavia informata a una sensibilità e a significazioni in definitiva antiche e segnatamente cripto-pagane. Le finalità (verosimilmente niente affatto cristiane) di un’operazione siffatta, attuata nel mondo moderno, dovranno essere fatte emergere dal lettore-ermeneuta avvalendosi di strumenti di ricerca e di investigazione appropriati. Che non sono unicamente quelli degli studi storici e filologici.

Quelle afferenti al filone della “modernità dell’antico”, sono infatti immagini e opere che dall’autore sono state costruite – non senza intenti dissimulatori, reticenti e depistanti – come degli enigmi eruditi. Compito del lettore-investigatore-ermeneuta sarà allora quello di arrivare a decifrarle avvalendosi non unicamente degli strumenti propri della ricerca storica e filologica, ma altresì di quello – che è peculiare degli studi ermeneutici sulla “modernità dell’antico” – rappresentato dall’individuazione delle fonti antiche (di natura sia mitologico-letteraria, sia – soprattutto – religiosa pagana) dei miti e dei simboli mitologici che stanno alla base dell’ideazione e della confezione di immagini e di temi che però, spesso e volentieri, non chiamano direttamente in causa l’antichità religiosa pagana, pur essendone intimamente impregnati: immagini e temi, pertanto, cripto-pagani. Si tratta di miti (interpretati in senso religioso, ovvero come emanazione ed espressione della religiosità pagana degli antichi) e di simboli (a loro volta mitologici, ma in accezione religiosa pagana) che esprimono per lo più forme di religiosità pagana antica non ufficiale, omerico-olimpica, bensì arcaica, pre-omerica, non olimpica o anti-olimpica, nonché misterica, mediterranea e altresì non mediterranea.

Attraverso una ricerca investigativa che parte dall’individuazione, nelle immagini e nelle opere, degli indizi rappresentati delle fonti antiche attraverso le quali ci sono pervenuti quei miti religiosi e quei simboli del paganesimo religioso antico, il lettore-investigatore-ermeneuta potrà arrivare a decifrare e a far emergere il significato recondito, celato “sotto il velame”, di opere letterarie o artistiche rimaste, per decenni o magari per secoli, come delle cruces interpretative, e ciò semplicemente per il fatto di essere state dai rispettivi artefici concepite nella prospettiva della “modernità dell’antico” (ma di non essere però state comprese come tali dai loro lettori-interpreti): ovvero con la struttura semantica dello scrigno-palinsesto e con immagini magari realistiche in apparenza, ma di fatto simboliche, vale a dire simbolico-mitologiche del paganesimo religioso antico.

La peculiarità di tali immagini e di tali opere concepite nella prospettiva della “modernità dell’antico” è infatti quella di essere state dai loro autori sapientemente ideate con una struttura semantica doppia. Questa struttura bipartita è per l’appunto peculiare dell’immagine simbolica: “uno fatto da due”, infatti, è il significato-base del termine greco σύμβολον in Platone, Simposio, 16, 191D, ove quel termine esprime la nozione base del concetto greco di σύμβολον, che è quello derivante dal primo significato del verbo συμβάλλειν: “unire, collegare, riunire quel che è diviso”; sicché se un’immagine è un σύμβολον, ovvero è “una fatta da due”, significa anche altro: ciò perché essa ingloba-nasconde un significato ulteriore rispetto a quello realistico di facciata, configurandosi in definitiva come un’immagine-scrigno abitata da un’idea nascosta. Da un’idea che, nel caso di immagini e di opere concepite nella prospettiva della “modernità dell’antico”, è (cfr. Creuzer, Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders der Griechen, 1819, parte I, libro, I) un’idea mitologico-religiosa pagana, la quale tuttavia è per lo più stata sapientemente dissimulata attraverso un sapiente uso mimetico delle fonti dell’antica religiosità pagana, preferibilmente non omerico-olimpica e ufficiale. Tale struttura semantica bipartita è altresì peculiare dell’opera che dal suo autore è stata sagacemente ideata come uno scrigno-palinsesto: vale a dire dell’opera semanticamente stratificata in scriptio superior e in scriptio inferior; sicché solo raschiando la prima potrà venire allo scoperto la seconda, sottostante, dunque “velata”.

Leggendo tali immagini e tali opere “sotto il velame”, ovvero arrivando a posizionarsi nel livello sotterraneo della loro scriptio inferior, l’ermeneuta della “modernità dell’antico” finirà col rendersi conto che è come se immagini e opere, seppur concepite magari in epoche anche molto distanti tra di loro e magari rimaste l’una all’oscuro dell’esistenza dell’altra, sono in realtà sotterraneamente tra di loro collegate come da una catena ininterrotta che, “sotto il velame” ha silenziosamente attraversato i secoli sino ai giorni nostri: quella rappresentata dalle fonti antiche della religiosità pagana, segnatamente quella non ufficiale. Sono fonti che ritornano, veicolanti per lo più le medesime tematiche cripto-pagane, tuttavia rivestite-velate da un involucro esteriore fatto di immagini sempre diverse.

È come se nel corso dei secoli fossero state ripetutamente/ciclicamente realizzate, da parte di autori differenti, sapienti variazioni di immagini (come nel caso delle “rose e viole”: di fatto cripto-pagane e cripto-dionisiache) veicolanti tuttavia tematiche cripto-pagane rimaste immutate. È come se si fosse instaurato un dialogo silenzioso e sotterraneo tra autori di epoche diverse, separati da decenni o da secoli, capaci però di leggere – sempre tacitamente – l’uno “sotto il velame” dell’altro, sapendo vicendevolmente riconoscere e identificare le antiche fonti pagane rispettivamente utilizzate, nonché dissimulate.

Oltre al dialogo silenzioso, è come se si fosse instaurata un’implicita competizione tra gli autori della catena sotterranea della “modernità dell’antico”, con conseguente reciproco – ma tacito – sfoggio di bravura nell’individuazione delle rispettive fonti antiche, sapientemente dissimulate entro involucri esteriori sempre diversi, e con reciproca – ma tacita –  esibizione di perizia nella realizzazione di variazioni di immagini che, viste come attraverso i raggi X grazie all’individuazione delle fonti antiche che le supportano, rivelano la struttura semantica bipartita dell’immagine simbolica, ovvero simbolico-religiosa, e che all’interno, al di là dell’involucro esteriore, inglobano le medesime significazioni cripto-pagane.

Un dialogo silenzioso e sotterraneo, questo instauratosi attraverso i secoli tra gli autori cripto-pagani della “modernità dell’antico”, del quale però la gran parte dei lettori – i cosiddetti “lettori comuni” – è sempre rimasta all’oscuro, ignorandone financo l’esistenza.

Ne deriva che immagini e opere siffatte, concepite nella prospettiva cripto-pagana della “modernità dell’antico”, sono state in partenza sapientemente pensate dai loro artefici per essere destinate a due differenti categorie di lettori-ermeneuti. Due categorie che tra di loro si differenziano innanzitutto per il fatto di essere fornite di bagagli di cultura letteraria e soprattutto religiosa dell’antichità pagana di entità assai diversa: due categorie, proprio per questo motivo, destinate ad approdare a livelli di comprensione semantica e di decriptazione assai differenti, se non completamente diverse. Inevitabile, di conseguenza, che si possano avere – da parte dei cosiddetti “lettori comuni” – letture stazionanti “sopra il velame”, sulla scriptio superior delle immagini e delle opere, oppure letture investigative effettuate nella prospettiva ermeneutica della “modernità dell’antico”, viceversa in grado di sollevare il “velame” e di scendere “sotto il velame”, per addentrarsi nel livello profondo della scriptio inferior.

Quest’ultimo è il livello “sommerso” nel quale l’autore – dissimulatore, reticente e depistante rispetto alla gran parte dei suoi lettori, i cosiddetti “lettori comuni”, destinati, nelle sue intenzioni, a stazionare, ovvero ad arenarsi, “sopra il velame” – ha riposto il significato recondito che ha concepito per le proprie immagini e per le proprie opere cripto-pagane, affidando il rinvenimento di tale significato “sommerso” alla corretta decriptazione del simbolo mitologico-religioso pagano sapientemente dissimulato nelle immagini.

Si tratta di immagini e di opere che, in definitiva, l’autore ha ideato come degli enigmi eruditi, che ha affidato all’altrui capacità di interpretare o di indovinare. E la soluzione di tali enigmi dipende innanzitutto dall’individuazione delle fonti mitologico-religiose del paganesimo antico e delle nozioni dell’antichità religiosa pagana (preferibilmente non omerico-olimpica o ufficiale) sulle quali quelle immagini simbolico-mitologico-religiose sono state sapientemente confezionate. Molto dipende poi – inevitabilmente – dalla sagacia interpretativa dell’ermeneuta della “modernità dell’antico”. Il quale, per riuscire a trovare la soluzione ermeneutica, dovrà porsi nei confronti sia dell’autore, che con dissimulazioni, reticenze e depistaggi ha realizzato immagini e opere nella prospettiva cripto-pagana della “modernità dell’antico”, sia di quelle stesse immagini e opere così concepite, con l’atteggiamento sia dell’investigatore che deve scoprire quale “delitto” è stato commesso nonché per quale motivo, sia del medico legale che compie un’autopsia.