di Francesco Berlucchi
Serviva qualche settimana per comprendere meglio, per elaborare. Per accettare che non lo vedremo più in campo. Mai più, con la racchetta in mano. Quantomeno da giocatore, in un Grande Slam o in un altro torneo Atp. È la fine di un’era: a 41 anni Roger Federer ha detto basta. L’ufficialità del suo addio al tennis è arrivata via social, attraverso un audiomessaggio postato su Instagram, Twitter e Facebook il 15 settembre 2022. Nel giro di pochi minuti la notizia è rimbalzata in tutto il mondo. Come una pallina da tennis dopo una volée che non ti aspetti.
A distanza di qualche settimana, quando quella pallina si è fermata in un angolo del campo, rimane un’immagine di copertina. Già, perché come ogni evento epocale anche l’ultima partita di Federer ha un’immagine chiave, un frame capace di descrivere tutto e di parlare a tutti. È quella in cui Roger tiene la mano a Rafa Nadal, seduti uno accanto all’altro. Su quel divano nero, a bordo campo, ci sono 44 titoli Slam. Mano nella mano, piangono insieme. È un’immagine potente che entra di diritto nella storia dello sport: il tennista più amato al mondo e il suo più grande avversario la consegnano alla storia. Senza Nadal, Federer non sarebbe entrato in questo modo nel cuore di milioni di persone. E senza Federer, probabilmente Nadal non sarebbe cresciuto fino a diventare il tennista più vincente nel Grande Slam. Come ha scritto Gaia Piccardi sul Corriere della Sera, un maschio che piange nel tennis è ammesso. Ce l’ha insegnato Sampras. Ma due, tra loro rivali, non si erano mai visti.
Facciamo un passo indietro: il 24 settembre, 9 giorni dopo l’annuncio del suo ritiro, Roger Federer affronta la sua ultima partita davanti ai 20mila spettatori della O2 Arena di Londra. Lo fa nella Laver Cup, in un doppio con Rafa Nadal. La Laver Cup è un torneo di tennis a squadre nel quale si affrontano una selezione di sei giocatori europei e una di altrettanti giocatori provenienti dal resto del mondo. Tre di loro sono scelti in base al ranking, gli altri tre vengono invitati dai capitani delle due squadre, che sono eterni rivali almeno quanto i Fedal: Björn Borg e John McEnroe. Roger vuole Rafa per il suo ultimo ballo, e così il nostro Matteo Berrettini viene promosso singolarista al posto dello svizzero. Federer e Nadal sono dalla stessa parte della rete. Borg e McEnroe li guardano da bordo campo, e forse un po’ li invidiano perché mai prima d’ora i valori più alti dello sport sono emersi così genuinamente nella stessa metà di un campo da tennis.
Rafa sembra inconsolabile. È distrutto dal pianto. Non per sé, ma per il suo storico avversario. I due si sono incontrati in campo per la prima volta nel 2004. Nell’anno in cui nascevano Facebook e Firefox, e l’Olimpiade tornava ad Atene dopo 108 anni, Federer saliva per la prima volta in testa al ranking Atp, e Nadal lo batteva in un doppio a Indian Wells. Diciotto anni dopo, è sempre un doppio a riportarli in campo insieme. Per l’ultima volta. «Avrei voluto che questo giorno non arrivasse mai» ha detto lo spagnolo. «È un giorno triste per me e per gli sportivi di tutto il mondo. È stato un piacere ma anche un onore e un privilegio condividere tutti questi anni, vivendo così tanti momenti incredibili dentro e fuori dal campo».
I numeri parlano da soli: 40 sfide in 15 anni e 9 in finali Slam, 24 a 16 per Nadal. Tra queste, la finale di Wimbledon del 2008: una delle sconfitte più dolorose di Roger insieme a quella rimediata in tre set contro Hubert Hurkacz 13 anni dopo, sempre a Church Road, nell’ultimo singolare della sua immensa carriera. Ironia della sorte, l’atto finale si compie sempre a Londra. Il risultato in Laver Cup è un’altra sconfitta, nel doppio con Rafa contro gli americani Jack Sock e Frances Tiafoe. Sui social Federer scherza: «Tutti speriamo in un finale da favola. Ecco come è andato il mio: ho perso il mio ultimo singolare; ho perso il mio ultimo doppio; ho perso il mio ultimo evento di squadra; ho perso la mia voce durante la settimana; ho perso il mio lavoro. Eppure il mio ritiro non avrebbe potuto essere più perfetto, e sono così felice di come è andato tutto».
L’ultimo grande addio, nell’era pre Federer, fu quello di Pete Sampras. Era il 2003. Due anni prima, Federer gli strappò Wimbledon dalle mani. Il torneo lo vinse Goran Ivanisevic, ma quell’ottavo di finale rappresentò il passaggio di testimone tra i due mostri sacri del tennis degli ultimi trent’anni. «Uscendo dal campo, ho capito di aver trovato uno come me. Ma tu hai fatto di più, tu sei stato speciale», dice l’americano. Al contrario, il principale avversario di Sampras, Andre Agassi, quello che pensa di Federer l’ha messo nero su bianco nell’autobiografia più avvincente scritta da uno sportivo. La sua. E racconta così la finale degli US Open del 2005: «Avvicinandomi alla rete, sono sicuro di aver perso con il migliore, con l’Everest della prossima generazione. Compatisco i giovani che dovranno battersi con lui. Compatisco il giocatore destinato a essere l’Agassi di questo Sampras… La maggioranza delle persone ha dei punti deboli. Federer non ne ha».
Di sicuro, però, Federer ha eleganza, carisma, stile, rispetto per l’avversario. Lo sport si nutre di storie. Di campioni, ma soprattutto di grandi personaggi. Come ha scritto Paolo Bertolucci sulla Gazzetta dello Sport, «una figura gigantesca come quella del Maestro svizzero continuerà a influenzare la cultura popolare e l’immaginario collettivo per tanti anni a venire. Del resto Federer è stato un simbolo assoluto, un’icona capace di trascendere la sua disciplina per diventare un fenomeno globale patrimonio di tutti». Roger ha saputo incollare al televisore persone che prima di Federer non avevano mai visto una partita di tennis. Come solo i fuoriclasse sanno fare. Proprio come Valentino Rossi, che ha portato le corse di moto per la prima volta nelle case di milioni di persone, la domenica dopo pranzo.
Non a caso, c’è una MotoGP prima di Valentino e una dopo Valentino. E ci sarà un tennis prima di Federer e un tennis dopo Federer. È il destino dei fuoriclasse. Per lo stesso motivo, indicare oggi chi sia il suo erede è pressoché impossibile, perché un erede non esiste. Chi ha dovuto farlo ai tempi di Sampras ha avuto vita più facile. In fondo, però, se è questo il prezzo che deve pagare la generazione che ha avuto il privilegio di vivere i 24 anni di carriera del più grande tennista di sempre, è stato un vero affare. Un affare probabilmente irripetibile.
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