Dall’11 luglio 1982, il giorno della finale del Mundial di Spagna, all’11 luglio 2021, quello della finale degli Europei 2020. Dal Santiago Bernabeu a Wembley, passando per l’Olympiastadion di Berlino, atto finale dei Mondiali di Germania nel 2006. La storia del calcio, ciclicamente, ce lo ricorda: l’Italia sa dare il meglio di sé quando è in difficoltà, e deve ricostruire da zero. È lì che s’insinua il genio italiano, riuscendo a passare in un battito d’ali dal non ci resta che piangere – per dirla con Massimo Troisi e Roberto Benigni – al non ci resta che vincere, parafrasando il titolo dell’editoriale con cui un grande del giornalismo italiano, Candido Cannavò, augurò buona fortuna all’Italia di Marcello Lippi sulle pagine della Gazzetta dello sport. Così, il simbolo della rinascita azzurra, nell’ormai lontano ‘82, rimarrà per sempre Paolo Rossi, convocato da Enzo Bearzot non senza aspre critiche quando il ct lo preferì al capocannoniere della Serie A, Roberto Pruzzo, nonostante Pablito fosse reduce da due anni di squalifica per il Calcioscommesse (ricorderete, forse, il primo storico silenzio stampa del calcio nostrano).
Vincere aiuta a vincere, si sa. Ma soprattutto a ripartire, che era proprio ciò di cui aveva più bisogno il calcio italiano anche nel 2006. Il sistema era frantumato, corroso, logorato da Calciopoli. Il terremoto aveva travolto club, dirigenti, organi calcistici, arbitri. Eppure, ne uscimmo sollevando la quarta coppa del mondo, davanti ai cugini francesi. Gli stessi che a Euro 2020 si sentivano favoriti, e forse lo erano davvero, insieme al Belgio di Lukaku e Mertens. Eppure, negli ultimi quattro anni la storia del calcio ci ha regalato la dimostrazione più cristallina delle abilità e delle energie che sa sprigionare il Belpaese quando viene messo spalle al muro. Il calcio, ça va sans dire, è solo un pretesto.
È il 13 novembre 2017. Nelle qualificazioni a Russia 2018, a San Siro, l’Italia di Gian Piero Ventura non riesce a segnare nemmeno un gol alla Svezia. Rimane fuori dal Mondiale, emarginata dal calcio che conta. Non accadeva da 59 anni. Una disfatta sportiva epocale, la cui sferzante eredità – tramite Gigi Di Biagio – passa nelle mani di Roberto Mancini. Cos’è cambiato? Come ha riferito il portavoce vaticano Matteo Bruni, lo ha ricordato recentemente anche papa Francesco dal Policlinico Gemelli dove è ricoverato: «Lo sport implica saper accettare qualsiasi risultato, anche la sconfitta. Solo così – ha detto Francesco – davanti alle difficoltà della vita ci si può sempre mettere in gioco, lottando senza arrendersi, con speranza e fiducia».
photo credits: Twitter @Vivo_Azzurro
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