Welfare aziendale: il mercato dei Provider. Flash Report di aggiornamento 2019
Il Terzo Settore saprà vincere la sfida del welfare aziendale?
Il mercato dei provider di welfare aziendale (aggregatori di servizi alle imprese che utilizzano interfacce web per consentire la libera scelta da parte dei lavoratori) continua a espandersi. La seconda edizione del monitoraggio da noi realizzato con ALTIS – Università Cattolica (in collaborazione con l’advisor Valore Welfare srl) registra 14 nuovi soggetti per un totale di 92 realtà (+18% rispetto ai 78 di un anno fa). Si tratta di un mercato storicamente popolato da aziende profit, entro il quale però anno dopo anno cresce la presenza qualificata di soggetti non profit. Ovvero di quei soggetti storicamente abituati a far conto soprattutto su risorse pubbliche e ora in cerca di valide alternative per differenziare in modo sostenibile le proprie fonti di finanziamento.
Si tratta di un interessante segnale di innovazione, confermato in modo robusto dai nostri dati: di quei 92 provider ben nove provengono dal terzo settore (due in più rispetto a un anno fa). In cinque di questi casi si registra anche la proprietà diretta della piattaforma digitale, a dimostrazione di una non scontata capacità di infrastrutturazione tecnica a supporta della propria attività.
Il soggetto che con maggior decisione ha scommesso su questa nuova prospettiva è il Consorzio CGM, rete di oltre 700 cooperative sociali attive nel campo dell’assistenza. Dal 2017 è entrata anche nel mercato del welfare aziendale, attraverso un accordo di re-selling con il provider Jointly, formando nel contempo un gruppo di propri welfare manager specializzati. Questa esperienza può mettere sul terreno non meno di tre elementi sfidanti. Il primo è legato alla qualità dei servizi erogati, sfida rilevantissima in un mercato in cui la strategia maggiormente perseguita sembra essere quella dei rimborsi o (più spesso) delle molteplici forme di sostegno alla capacità di spesa del lavoratore. Al contempo, si tratta anche di una opportunità di diffusione di servizi “a chilometro zero”, capaci auspicabilmente di riorientare sul territorio una domanda altrimenti egemonizzata da grandi operatori e multinazionali. Infine, il terzo settore può reimmettere una logica di case management, ovvero di accompagnamento esperto della scelta che i dipendenti debbono compiere nel momento in cui si trovano a spendere il budget di welfare messo loro a disposizione dall’azienda), superando così le tendenze individualizzanti che la disintermediazione determinata dalla tecnologia (le piattaforme) inevitabilmente introduce.
È probabilmente ancora presto per comprendere davvero se questo terzo settore “avanguardistico” avrà davvero la capacità di giocare fino in fondo la partita del welfare aziendale in un settore in cui la concorrenza del mondo profit (con le sue logiche gestionali e manageriali) è elevatissima. Se sapranno vincere questa sfida, l’intero settore del welfare aziendale ne trarrà beneficio, riducendo il rischio (oggi crescente) di appiattire il mercato su dinamiche di commercializzazione non sempre adeguate al tipo di servizio erogato.
Di Luca Pesenti, Università Cattolica del Sacro Cuore.
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