Le Case della Comunità, il rapporto tra ospedale e medicina territoriale alla luce del DM 71, il rapporto con la politica e la capacità di trasferire risorse, la necessità di partire dai bisogni, l’importanza di fare rete, il rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, l’importanza della formazione, il ruolo del medico di base che orienta positivamente gli assistiti in chiave di prevenzione, il Pnrr e la collaborazione Stato - Regioni.
Sono solo alcuni dei numerosi argomenti emersi mercoledì 11 maggio in aula Bontadini, in occasione del convegno “Gli standard della sanità territoriale: prime valutazioni”, organizzato a conclusione del corso di perfezionamento in Organizzazione e gestione delle Case della Comunità nell’ambito del riordino della sanità territoriale, durante il quale sono stati consegnati i diplomi di perfezionamento ai partecipanti alla prima edizione.
A coordinare gli interventi è stato Renato Balduzzi, docente di Diritto costituzionale e direttore del corso, il quale nell’ampia relazione iniziale ha offerto i profili tecnici, finanziari e culturali sul riordino della sanità territoriale. La parola d’ordine, ripresa dagli altri relatori, è stata quella dell’importanza culturale di tale riforma. Di rilievo, ha sottolineato il professor Balduzzi, è la maggiore integrazione prevista tra comuni e Terzo Settore: «Non è il bisogno che va al servizio ma il servizio che va verso il bisogno. Già questo richiede un cambio di mentalità notevole: la comunità va costruita e riscoperta, e la salute è la risultante di tanti fattori».
Su tale input è intervenuto Giovanni Pavesi, direttore della DG Welfare di Regione Lombardia, che si è soffermato sugli ospedali come luogo della cura. «La Casa della Comunità senza il coinvolgimento della medicina di base fallirà. Occorre un salto culturale, sapere che la casa della comunità è un filtro per l’accessibilità alle cure».
Sul concetto di rivoluzione culturale ha insistito anche Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Mario Negri, per il quale «la prevenzione va al primo posto: oggi abbiamo 12 milioni di fumatori, oltre a persone obese, infezioni, ecc., e questo perché non esiste la prevenzione. Facciamo lavorare inutilmente il SSN, se non facciamo prevenzione. Ma la prevenzione è in conflitto di interesse con il mercato della medicina. Per questo è necessaria una nuova prospettiva culturale».
La novità della riforma è proprio negli aspetti culturali, come ha affermato Franco Riboldi, coordinatore nazionale dell’Associazione Prima la Comunità: «Senza un salto culturale il SSN non sarà sostenibile nel tempo. Se si gestiscono le risorse in modo integrato, ci saranno risultati elevati a costi sicuramente inferiori ma per fare ciò occorre una forte corresponsabilizzazione».
Gli accademici Ettore Jorio dell’Università della Calabria e Francesco Taroni dell’Università di Bologna hanno fornito dati sugli aspetti legislativi di adeguamento alla realtà odierna post pandemica caratterizzata da incertezze tecniche e logistiche.
Su tali aspetti, in particolare sui disagi creati dalla pandemia e sugli aspetti economici tra infrastrutture esistenti e da costruire, è intervenuto Andrea Mandelli, vicepresidente della Camera dei deputati e presidente nazionale FOFI: «Gli investimenti devono avere un ritorno. È anche importante la formazione nelle professioni sanitarie, rivedendo i percorsi di laurea».
Il problema dei costi e del rischio che il SSN possa evolvere in una privatizzazione mascherata è stato evidenziato da Vasco Errani, vicepresidente commissione Bilancio del Senato della Repubblica, che ha prospettato una «discussione franca, serena, costruttiva sulla riforma organizzativa del sistema sanitario».
Sul DM 71 dal punto di vista del ministero si è pronunciata Sandra Zampa, responsabile attività istituzionali del Ministero della Salute, che ha insistito sulla «formazione come modalità di prevenzione adattata alle esigenze delle varie fasce di età, anche per testimoniale la vicinanza ai cittadini nella impostazione del sistema sanitario del futuro».
A tirare le conclusioni della ricca mattinata è stato don Virginio Colmegna, presidente dell’Associazione Prima la Comunità, il quale ha affermato che la realtà va trasformata a partire dalla professionalità: «Bisogna dare senso alle professioni, partendo dal basso con grande fiducia».
E proprio con l’invito alla fiducia, i corsisti hanno ricevuto il loro diploma al termine del convegno. Del resto, si è trattato della prima edizione di un corso talmente innovativo e di spessore che è stata annunciata la seconda edizione e anche, durante il saluto del preside della Facoltà di Giurisprudenza, Stefano Solimano, la proposta di istituire un centro di ricerca “LaboST - Laboratorio sulla sanità territoriale”.
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